Sono capace perchè sono felice

Reduce da una settimana paragonabile solo a leggere “vita di Pi” con la congiuntivite, dove il freddo è prepotentemente tornato con diluvi universali (si, piu’ di uno) e sfascia caldaie che si mettono all’opera quando vorresti solo avvolgerti nel plaid come una bombetta di Cisternino nella pancetta soffritta, ho deciso che, molto saggiamente, il 25 aprile dovevo mettere il muso fuori casa. Checcazzo.

Dico la verità: fortunatamente (solo perchè ho meno di novant’anni e quindi ancora nessun segno d’artrite) non c’è voluto molto a convincermi. In piazza, quest’anno, c’è stata Maria Antonietta.

Se siete parte di quel gregge che segue la musica commerciale, si ascolta la radio e giudica il successo nonchè la bravura di una artista dalla copertina del primo album e da quante persone con discutibile senso del “vestire” urlino al suo concerto frasi monosillabiche allora è probabile che non la conosciate.

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Classe 1987, Maria Antonietta, al secolo Letizia Cesarini, nasce a Pesaro e racconta il sublime disagio di avere vent’anni.

Un’attitudine assolutamente punk, al servizio di una scrittura scabra, rugginosa, confessionale e fortemente femminile.
Rude e inattesa come un ceffone, poi improvvisamente leggera e melodiosa da donna reale a diva consumata.
Il tutto senza filtro e con un talento descrittivo fuori dalle righe, Maria Antonietta racconta la giovinezza con un fragore generazionale che non lascia via di fuga.
Urla e sussurra e ti tiene lì, legato al filo del suo immaginario nitido e potentissimo, fatto di fascinazione per l’universo sacro e di icone sante come ultimo baluardo di purezza incontaminata, di compulsioni e amori carnali senza condizioni.

Un esordio artistico che nasce, si ispira e cresce nella totale adorazione di una figura femminile che, consapevole della sua carnalità, ha uno spirito forte e dissacrante della sua stessa spiritualità mal celata.

L’ esordio in italiano per Picicca Dischi (registrato e prodotto da Dario Brunori), in uscita nel 2012 nel giorno dei natali di Giovanna d’Arco, la pulzella d’Orleans, è di un’urgenza dannata: massima brevità, quasi fossero canzoni eretiche che non hanno tempo da perdere.

Frasi fatte e banalità pre-concerto servono a poco: se sai che puoi fare il massimo, se sei consapevole che puoi spingerti al limite delle tue capacità perchè, una volta, una pischella a 17 anni guidò l’esercito della Francia alla vittoria con nonchalance, allora c’è poco da sindacare.

La felicità altro non è che la consapevolezza delle proprie capacità riscoperte e le capacità, inutile a dirsi, crescono se il substrato è intriso di felicità.

Volta per volta.

7 pensieri riguardo “Sono capace perchè sono felice

  1. Poi la stessa pischella fu bruciata sul rogo come strega. Masticazzi, con quell’osservazione volevo solo nascondere il fatto che pur non ascoltando radio, non guardo televisioni (se non per il minimo indispensabile), sta tizia non la conoscessi. Appena avrò voglia*, l’ascolterò.

    *Tempo compreso tra il prossimo secondo e il mai.

    1. Il libero arbitrio esiste.
      E’ la condizione basilare per poter fare (si spera piacevolmente) tutto.
      Quando in quel “millesimo di secondo” deciderai di ascoltare qualcosa che ti è per ora totalmente ignoto potrai decidere se portarla sul culo o meno.

      1. Penso ci sia stato un simpatico e carinissimo misunderstanding (ché detto in inglese fa più figo) e avrei potuto usare questo commento per spiegarmi. Invece no. Una puntata del Dottore chiama e io debbo rispondere.

      2. C’è un solo Dottore. Beh, non proprio uno solo. O meglio, è sempre lui ma cambia sempre aspetto. È il Dottor Chi.

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