IT è (ancora) un capolavoro generazionale. Ve lo dico io.

Vedere il remake di un film cult  preso da un libro altrettanto cult è come costruire un mobile Ikea: sembra semplice ma sarà difficile, emotivamente toccante e a tratti doloroso.  Per questo quando mi sono seduta sul sedile del multisala, difronte al maxi schermo, mi tremavano le ginocchia: mesi e mesi di hype e paranoie destinate a dissiparsi in un paio di ore.

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Il nuovo IT è un horror fatto ad arte, preciso, ben cadenzato nei suoi “jumpscare” e nei momenti di tensione, una pellicola articolata tra scene mozzafiato e analisi introspettive, che rimane ancorato alle paure classiche sapendole rivisitare (la ripresa delle movenze grottesche usate negli horror coreani di nuova generazione è un esempio di come anche il concetto di “terrore cinematografico” possa evolversi e cambiare con gli anni)

Nonostante lo scetticismo della critica, Andy Muschetti ha saputo ricreare e far rivere l’ansia dell’adolescenza e le sue angosce senza stucchevolezza, con le sue contraddizioni e le poche certezze in un’età che, come disse King stesso “si smette di credere a Babbo Natale ma hai ancora paura che ci sia qualcosa ad aspettarti sotto il letto, al buio”.

Non è solo questione di budget, di sapiente sceneggiatura già collaudata o di clichè horror: Bill Skarsgård è uno strepitoso Pennywise, a tratti affabile e aggressivo quanto basta, mai bidimensionale o scontato, a differenza del clown rappresentato da Tim Curry è un cattivo misurato, subdolo, che mostra bene la sua malvagità dosando ogni espressione. Di lui il regista dice: “Il personaggio ha un comportamento infantile e dolce, ma c’è qualcosa di molto perverso in lui. Bill ha questo equilibrio. Può essere dolce e carino, ma sa anche essere abbastanza inquietante”.

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Il punto forte non è solo la caratterizzazione del “villain” per eccellenza, ma una rete di intese ed intrecci emotivi in cui si rimane letteralmente intrappolati: non puoi fare a meno di simpatizzare per il gruppo dei “perdenti”, i 7 ragazzini riportati sullo schermo in una pigra estate tipicamente anni 80′, non si può fare a meno di riconoscersi in loro: disadattati, spesso fuori luogo, degli imbranati cronici inascoltati e incompresi.

Ciliegina sulla torta è la scelta del pezzo “Dear God” degli XTC, che spezza il climax di angoscia e paura del film riportandolo ad una dimensione umana, con l’intento sottile di mostrare le insicurezze e le incomprensioni interne alla comitiva.

Se avessi avuto un euro per ogni volta che da ragazzina ho corso in bici verso posti sperduti a fare giuramenti, combattendo mostri e bulli di quartiere, a quest’ora un mutuo non sarebbe un problema. Sembra estremamente banale, ma la forza di questo film, di questa miniserie tv, di questo libro, è tutta qui: IT parla di noi, ci arriva come uno schiaffo, senza preavviso o preamboli ci ricorda ciò che abbiamo lasciato, ciò di cui avevamo paura, ciò che dovremmo combattere senza sosta o scusa che tenga.

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Gli adolescenti che picchiano a turno la creatura spaventosa nelle fogne eravamo noi, qualche anno fa, con i nostri sogni a farci da scudo. Gli adulti di Derry complici nella loro indifferenza siamo noi adesso, disillusi e rassegnati, barricati nei nostri salotti vintage.

Perchè Sanremo tira fuori il peggio di noi.

Non importa che voi siate impiegati con velleità da scrittore o imprenditori fissati con il marketing estremo, vi sintonizzerete comunque su Rai 1 per guardare quello che da sempre è la cartina di tornasole della fauna artistica nazionale: il festival di Sanremo non risparmia nessuno.

Basta scorrere la home di un qualunque social per rendersi conto di quanto la settimana del Festival ingombri il profilo di tutti. Ognuno ha da dire la propria, ognuno ha il suo personalissimo modo di recepire i pezzi in gara, giudicare la presentazione delle serate e la conduzione del programma.

Senza remore e senza rimorsi.

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L’impatto dei social nella vita quotidiana crea una combo invincibile tra “questo lo avrei cantato meglio pure io” e “quanti soldi hanno speso per fare sta cagata?” degli italiani, un’antologia di commenti ridondanti e riflessioni istintive sparate come proiettili su una folla di ribelli. Il problema, in realtà, non è mai la qualità intriseca del lavoro di direttori artistici e degli artisti presi di mira ma l’importanza che la gara sembra avere per tutti, tanto da scomodare articolisti di testate giornalistiche piuttosto serie, opinionisti con anni di gavetta alle spalle e politici benpensanti, basti pensare che anche un tema caldo e delicato come quello del ddl Cirinnà sembra discusso e combattuto dal palco dell’Ariston a colpi di frange colorate e commenti al vetriolo.

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La cosa che più mi affascina di questo fenomeno mediatico è quanto il giudizio non sia minimamente (e seriamente) puntato sui cantanti in gara e sulle loro melense canzoni ma si concentri sulle tette della Ghenea, sui presunti zigomi rifatti di Garko, sull’incredibile sfumatura marrone di Conti. Il divertimento con cui si sparano minchiate a profusione sentendosi un vero critico d’arte difronte una tela malfatta è la vera moda del momento, un clichè ormai iscritto negli annali.

Il bignami di questo Festival? Garko non sà leggere nè il gobbo nè parlare nè presentare: dovevano metterci il nipote della vicina di casa al suo posto, la Ghenea sopra quelle tette impertinenti ha del cervello, lo ha dimostrato sporcandosi di cioccolato nel dopo Festival, Virginia Raffaele? Brava ma vorremmo vederla che “imita se stessa” (questa ancora me la devono spiegare) e Conti è stato riconfermato perchè, nonostante il suo discutibile e imperfetto modo di condurre, ha dimostrato di saper fare scelte intelligenti come invitare la Kidman sottoponendole domane veramente idiote.

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Naturalmente oltre la pioggia di critiche proveniente da gente preparata artisticamente come il suocero dell’amico di mio cugino c’è anche molto “sentimento”: un esempio è l’indignazione alle battute fatte sul maestro Bosso, guai a parlare male di un uomo costretto sulla sedia a rotelle, passi trattare come bambocci virtuali i co-presentatori ma c’è un limite a tutto, ovviamente ” siamo tutti uguali ma alcuni sono più uguali degli altri”.

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Quello che maggiormente attrae del Festival di Sanremo è l’estrema socialità e apertura del format, una competizione che si mostra da sempre aperta e d’impatto, questa disponibilità mediatica fa in modo che si crei una specie di incantesimo sul pubblico che non diventa più semplice spettatore e giudice di canzonette ma vero e proprio Deus ex machina in grado di capire come risollevare le sorti artistiche di questo paese, un’illusione amara che rende Sanremo una triste fiera dove ognuno si sente sempre migliore di qualcuno altro.

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L’unico dato di fatto che si trae dalle reazioni a questo programma è che non sappiamo ancora quale sia la differenza tra “buoni” e “buonisti” e “sentimenti” e “sentimentalisti”.

 

 

 

Incontrare un tuo mito adolescenziale è psicologicamente devastante.

La vita in un ameno paesino di montagna emiliano può essere descritta usando tre semplici concetti: “verde”, “rettili di cui non conoscevi l’esistenza” e “iperglicemia”.

Il problema è che quando ti ritrovi a vivere in posto simile venendo da una grande città di provincia inizi a gioire delle piccole cose che il posto ti offre, non aspettandoti assolutamente nulla di più eclatante di un succulento pettegolezzo dalla gente del paese o della schiusa anticipata delle uova di un insetto fastidioso che il tuo ragazzo si ostina ad usare come esca nei fiumi, per questi motivi quando mi è stata servita su un piatto d’argento l’opportunità di stringere la mano ad un mito fondante delle mie psicosi liceali ho colto immediatamente l’occasione senza pensare alle paranoie che mi avrebbero successivamente assalito.

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Io e un imbarazzato Giovanni Lindo Ferretti

Il primo campanello d’allarme è stato il suo essere enormemente imbarazzato (certo, magari il mio continuo inchinarmi dicendo “scusa so che magari ti sto disturbando ma tu sei stato un vero mito per me, non è che potremmo farci una foto? Si, lo so che non hai avuto il tempo di farti la barba stamattina ma credimi non importa, le mie amiche ti troveranno figo lo stesso…”) non è stato d’aiuto ma, voglio dire, quanti cantautori famosi frontmen di gruppi storici come i CCCP sarebbero cosi imbarazzati nell’incontrare un loro fan? Questo dettaglio avrebbe dovuto farmi presagire il tracollo emotivo che avrei avuto di li a poche ore.

Infatti, tornata a casa con la sua foto rigorosamente da modificare previa pubblicazione e un tovagliolo che pubblicizzava un suo evento con la sua firma dedicata sopra, ho avuto tutto il tempo di ripensare a questo strano e trascendentale incontro, e mi sono chiesta:

  • Sono davvero ancora lontanamente la stessa persona che al liceo inneggiava, durante feste e manifestazioni, stralci di canzoni post datate filo comuniste?
  • Cosa penserebbe Lindo Ferretti della persona che sono adesso, delle mie scelte, del fatto che abbino le converse e che ho votato Renzi (cosa che ancora mi lascia perplessa)?
  • Il cambiamento politico che ha avuto ha influenzato alcuni suoi modi di vivere? di pensare? Se gli dicessi che tra qualche mese lascerò questo paesino per tornare in una grande città mi prenderebbe a schiaffi urlando che ancora della vita non ho capito un cazzo?
  • Se gli spiegassi in cosa mi sto laureando e che la mia è una scelta dipendente comunque dalla mia passione più che dal profitto, mi riterrebbe una sporca assassina capitalista che gioca a fare Dio?

Ma soprattutto:

  • Sono davvero diventata ciò che volevo essere? Se tornassi indietro nel tempo e potessi guardarmi dal passato, sarei soddisfatta della persona che sono e che voglio continuare ad essere? La ragazzina che si ostinava a litigare con il professore di religione e che credeva fortemente nell’associazionismo politico e sociale tanto da pretendere di finire in punizione dal preside in comitiva crederebbe in me, farebbe le mie stesse scelte?

Perchè gli psicolabili sono dei miti in TV

Aver trovato un sacco maleodorante pieno di “vita vissuta precedentemente” nell’ armadio che uso come succursale del primocondiviso amorevolmente” appartenente ad una persona estranea (ndr. leggere estranea con un tono di disprezzo) mi ha spinto a reagire in un modo che, sul serio, non mi sarei aspettata.

Avevo voglia di piangere fino a svenire sul fantastico nuovo letto a due piazze con doghe in legno pensando, dolorosamente, a come possano cambiare le cose all’improvviso e alimentando la mia paura di morire da sola mangiata dai miei gatti. Invece, contro ogni previsione, ho passato le due ore seguenti cercando di capire come esprimere in inglese la parola “schifo” per trovare su tumblr la gif che meglio poteva rappresentare il mio stato d’animo.

Perchè il mondo sapesse come mi sentivo in quel preciso momento (ovvero in quelle due precise e terribili ore).

Dopo aver soddisfatto la mia voglia di malsana celebrità e condivisione sogghignando come una psicolabile difronte gli sguardi accusatori dei miei coinquilini (rispettivamente il mio cane e il mio ragazzo ed uno dei due credo stesse giudicando il mio modo di non occuparmi seriamente di lui) che rimproveravano il mio modo altrettanto psicolabile di reagire mi sono chiesta due cose:

  1. Perchè non sono la protagonista di un telefilm
  2. Perchè gli psicolabili sono sempre protagonisti di telefilm.

Ammettiamolo: gli spostati sono di gran lunga sopravvalutati in TV.

Vengono mitizzati, situazioni psicologicamente devastanti vengono presentate come “il meglio che possa capitarti nella vita” sorvolando sulla tremenda voglia di suicidarsi che serpeggerebbe nella mente di un individuo perennemente a disagio.

Ignoro chi sia stato il primo sceneggiatore a creare una sit-com dove lo psicolabile di turno godesse di simpatia e ampia stima da parte del grande pubblico nè conosco il talentuoso regista che, entusiasta, ha appoggiato totalmente questa grande e sperimentale idea di filmare psicolabili a contatto con il mondo reale (salutate Stanlio e Ollio). Di sicuro ho trovato un po’ di esempi a riguardo, esempi che, lo ammetto con brividi, io stessa seguivo appassionatamente prima che gli zombi entrassero prepotentemente nella mia vita con i loro urletti soffocati e quella dolce espressione di crudezza.

  • Una mamma per amica                                                                                                                                     

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Se io avessi davvero avuto una mamma come Lorelay Gilmore sarei in fila per il prozac al piu’ vicino sportello farmaceutico h24  (non fate quella faccia: presto esisteranno sotto qualunque semaforo di qualunque città).

Una volta, alla maturissima età di 25 anni, chiesi a mia madre se fosse il caso di iniziare o no una storia e/o frequentazione con il ragazzo che mi piaceva tanto e con cui dividevo la casa. Presa dal rimorso se qualcosa fosse mai andato storto (non è mai una geniale idea mischiare birra e sesso sotto lo stesso tetto) chiesi un parare alla mia saggia generatrice, ed il suo sommo verdetto fu: “dovresti farci del sesso. Se ti piace non fartelo scappare, se non ti piace amici come prima“.

Non ho dormito per una settimana.

Certo, ho seguito il consiglio ed è il mio attuale ragazzo ma nessun orgasmo potrà mai cancellare le due settimane di sertralina che ho ingurgitato sperando di cadere in un sonno senza sogni (credo).

  • Dexter

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Va bene, alzi la mano chi non ha mai sognato di uccidere a sangue freddo chicchessia sfogandosi per tutto il cinismo accumulato in un mese ed allo stesso tempo godendo come un maiale. Immagino che le mani alzate siano tante e che, detto ciò, molti di voi sarebbero corsi dal primo psichiatra in lacrime per aver strozzato il gatto della vicina.

Essere dei serial killer non è mai cosi figo, figuriamoci divertente.

  • Scrubs

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Ammettendo che JD merita a tutti gli effetti una medaglia al valore per la quantità ammirevole di figure di merda fatte anche solo in una settimana lavorativa (la sua) e in una settimana di cazzeggio guardandolo (il mio), non credo che saltare ripetutamente dall’avere una relazione con la tua migliore amica ad una crisi di nervi perchè il tuo capo continua a chiamarti “Susan” sia il massimo della vita.

La frustrazione ed il mobbing professionale sono tra le principali cause di stress fisico ed emotivo causando l’esplosione del cuore.

  • Diario di una nerd superstar

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Fino ad ora l’unica serie in cui la protagonista abbia davvero tentato il suicidio. La vita può essere molto difficile se le cheerleaders ti disprezzano ed il tuo ragazzo ti monta in silenzio nello sgabuzzino del bidello facendo finta di non conoscerti alla luce del sole. Peccato che sia difficile in tutti gli altri casi quando si ha 16 anni e il seno concavo.

Un consiglio spassionato? Non rifugiatevi nei blog, nella scrittura creativa, nell’immaginazione: come posso dimostrare (e come chi ha visto questa serie può osservare) non serve assolutamente a niente.

Dimmi che facoltà scegli e ti dirò cosa non sarai.

“L’estate sta finendo” cantava qualcuno che sinceramente non ricordo e non ho voglia di andare a colmare la mia lacuna musicale del momento e, volendo essere banali, effettivamente si: le università italiane riprenderanno le attività e le lezioni pur con le pezze al culo. Con esse, miriadi di giovani e presuntuosi talentuosi studenti si immatricoleranno pieni di speranze e illusioni.

Ed io, dopo un mese condito di spiagge, mare, spiagge, birra, spiagge, posti abitati da discutibili abitanti e spiagge non potevo non perdere l’occasione di dispensare la mia perla del mese in questo momento cosi delicato e importante per l’istruzione personale: la scelta di cosa si vuole fare “da grande”.

Detto ciò, ecco una semplice guida universitaria sulla fauna che incontrerete.

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  • Farmacia e CTF

Ci sono due validi motivi per cui scegliere di immatricolarsi:

  1. Il vostro paparino è la gallina dalle pillole d’oro e siete seduti sui cuscini di una grande e grossa farmacia provinciale,
  2. Vi piacciono le droghe.

Nel primo caso: spero possiate bruciare all’inferno, stronzi. Auguri!

Nel secondo caso: qualunque cosa voi facciate e pensiate mentre siete intenti a coltivare la vostra personalità cinematografica e a guardare tutti con aria di “tantotunonpuoicapire” state lontano dalle preparazioni in polvere nei laboratori e non inzuppate l’indice in qualunque preparazione farmacologica stiate analizzando: la lingua del mio migliore amico sembrava un cappello di Lady Gaga. Per chi se lo stesse chiedendo si, lui fa parte della seconda categoria.

Non sarete Dr. Jeckill: non inventerete la “medicina dell’anno” e non vi servirà sballarvi in giro per sentirvi socialmente utili.

 

  • Medicina e Chirurgia

Ok, avete superato il fatidico test d’ammissione: macchebravi! Ora che avete fatto piangere di commozione mamma e papà avete analizzato almeno per una buona oretta quello che (davvero) vi attende?

Prima di sentirvi Lana del Rey intervistata da Fazio forse dovreste vedere i vosti futuri colleghi intenti a maledire il presente, temere il futuro e rimpiangere il passato: il tirocinio in ospedale può essere una gran brutta cosa senza una buona scorta di metadone.

Non sarete il Dr.House: smettetela di inventarvi nuove diagnosi per nuove (sfavillanti) malattie: solitamente le patologie sono sempre le stesse, i pazienti sono anziani che confonderanno presto “anale” con “orale” e ragazzine che berrano lavande vaginali come se fossero tisane alla menta.

In bocca al lupo!

 

  • Chimica

Oddio, ricordo la mia prima visita al dipartimento di Chimica: si respira frustrazione e ansia da prestazione. Chi sceglie questa via masochista e sadomaso ha tutta la mia comprensione (credo) e stima. E’ già abbastanza complicato studiare gli acidi invece di farseli e ideare battute sempre diverse pensando all’ossido nitrico, figuriamoci sentire ogni giorno la frase “ma dovrai andare all’estero, eh!”.

Da nevrosi.

Magari non sarete in corsa per il Nobel e la prima domanda che vi faranno dopo la laurea sarà su com’è il “menu’ baby completo+bibita a scelta” ma di sicuro avete buone probabilità di diventare cabarettisti professionisti.

 

  • Scienze Naturali

In assoluto i miei studenti preferiti. Vestono sempre come se all’improvviso dovessero partire per un’escursione nei boschi, i loro colori preferiti sono tutti quelli che possono aiutarli a mimetizzarsi in qualunque habitat scelgano di vivere e ti riempiono casa di piante che poi lasciano seccare ogni volta che vanno via in qualche posto isolato “a contatto con madre natura”.

Sono totalmente immersi nel loro ideale accademico: amano gli animali, l’ambiente, leggono “national Geographic” e ti guardano come se stessi ballando con uno scolapasta in testa al tuo “No, non amo stare sotto il solleone delle tre a passeggiare in montagna osservando la fauna locale in via d’estizione, grazie.”

Non sarete Bear Grylls, per l’amor del cielo smettetela di infilarvi in posti assurdi lontano dalla civiltà e dal buon senso e di mangiare piatti etnici e cibi inconsueti: non credo che la madre del vostro/a ragazzo/a apprezzerà gli scarabei caramellati al pranzo di nozze.

 

  • Ingegneria

Uno dei miei incubi ricorrenti subito dopo l’esame di maturità era quello di essere iscritta ad ingegneria: matematica, matematica e ancora matematica.

Esiste qualcosa di piu’ brutto? Forse. Sembra essere ancora una facoltà d’estrazione prettamente maschile, quindi aggiungeteci orde di maschietti convinti di salvare il mondo costruendo Mazinga e Transformers vestiti in giacca e cravatta dal primo giorno di lezione o, in alternativa, nerd fissatissimi con i fumetti della Marvel (yuppi!)

Non sarete mai e poi mai Tony Stark: non progetterete il robot del millennio, non salverete il pianeta terra e non avrete una segretaria sexy che si bagna al vostro sontuoso passaggio. Vi chiederanno di lavorare gratis e, stanchi della magra situazione italiana, emigrerete all’estero (molto probabilmente in Germania).

Prima lo accetterete e meglio sarà.

 

  • Architettura

Ecco a voi gli artisti della scienza, i disneyani del sapere, gli stilisti degli edifici demodè. Con loro l’arte diventa costruzione e concettualità, praticità e anticonformismo. Ok, ho finito di impersonare Carla Gozzi, comunque: arricciano il naso come se sentissero puzza di uova marce quando si parla di ingegneri perchè, a quanto voci maligne dicono, gli architetti non dovrebbero esistere essendoci già ing. civili ed edili ma, dico io, perchè tarpare le ali all’arte?

Via libera a ponti di dubbio gusto e pilastri fantasiosi, dunque!

Non sarete Renzo Piano: c’è nè solo uno e mi pare abbia già fatto abbastanza. Grazie.

  • Design

Se la biologia e le cose strane e molto piccole non mi fossero piaciute avrei scelto questa facoltà. Non so come vivano gli studenti in maniera dettagliata ma so che si strafalciano i maroni tra lezioni di progettazione e programmi di disegno. Devono essere molto creativi (una sedia fatta di contenitori di uova biologiche non si costruirà da sola, miei cari) e cercano sempre di unire la praticità e l’inventiva all’impatto zero sull’ambiente. Costruttivo, no? Avete mai provato ad usare una loro lampada in fase di ultimazione? Personalmente avrei sempre paura di una esplosione improvvisa. Sono sicura che le forze militari reclutino designer per camuffare nuove armi di distruzione individuale. Lavoro, disegno, lavoro e tanto karma, infondo “Roma non è stata costruita in un giorno” e nemmeno l’Ikea.
Sarà difficile entrare a far parte delle menti creative (e un po’ inquietanti) del colosso mobiliare sopra citato: dopo tutta la sbobba fatta rovistando tra le discariche non vorrette mettervi anche a imparare lo svedese, no?

 

  • Biotecnologie

Misantropi diffidenti e aciduli, passano il tempo a fantasticare su creature geneticamente modificate e applicazioni biotecnologiche innovative, tipo vestiti che trasmettono la vitamina C solo indossandoli e che si ricarichino al sole. Usano i cromosomi per fare battute da NERD che in pochi capiscono e cercano sempre di manipolare e/o modificare tutto ciò che li circonda, cane incluso. Si riempiono d’orgoglio quando devono spiegare alla nonna e agli zii cosa studiano (salvo poi maledire i loro professori altrettanto sadici e minacciare il consiglio accademico di passare a Biologia).

Ho incontrato, qualche mese fa, una futura matricola universitaria completamente affascinata dal DNA e dalle modificazioni genetiche. Gli occhi le brillavano parlando di pipette e reazioni a catena della polimerasi e sognava di entrare nei RIS di Parma.

Poverina.

Non sarete Peter Parker, non vi morderà un ragno OGM e non vi trasmetterà dei fantastici super poteri. Al massimo romperete il gel per l’elettroforesi, esperienza che nella vita vi servirà immensamente (all’estero).

 

  • Giurisprudenza

La facoltà che conta, in assoluto, il numero piu’ alto di iscritti: ambizioni sociali e umanitarie o ambizioni economiche?

Ovviamente sta a voi come viverla e il perchè della vostra scelta. Sappiate, comunque, che la strada è lunga, la specializzazione è lunga e l’unica cosa che potrà salvarvi dall’annegare tra scartoffie burocratiche sarà l’adesione totale ad una incrollabile fede politica: ho conosciuto dei veri imbecilli che si sono fatti strada solo perchè hanno capito la parte giusta da seguire in toto.

Non farete parte dei grandi team protagonisti della tv: che sia la vecchia scuola di Ally Mc Beal o altro che fortunatamente ho la forza di NON seguire. Sarete in un mare di studenti con un mare di nozioni da imparare a memoria e non ci sarà nessun tailleur alla moda a salvarvi da questo brodo primordiale.

“cosi è, se vi pare”. 

  • Beni culturali e Lettere

Relax. Spegnete i cellulari, palmari, tablet e/o pc. Qui tutto è tranquillo, rilassante, bello da vedere e sentire.

E’ tutto molto accomodante: dalle ambietazioni ai prof. ed è raro trovare studenti con frequenti crolli nervosi (a meno che non siano invischiati in borse di studio e quant’altro: in tal caso i suicidi non sono cosi rari).

Chiunque abbia a che fare con l’arte è sereno, dedito alla contemplazione, in pace con se stesso. Ed io li invidio da morire soprattutto per il self-control nel non strozzare tutti quelli che li guardano come se fossero un branco di ritardati.

Non sarete Julia Roberts in “Monnalisa smile”: insegnare è un lusso che non si potranno permettere nemmeno i vostri nipoti. Scordatevi allievi sorridenti e cattedre pulite: addio relax, benvenuto zoloft.

 

  • Fisica

Non ho mai capito perchè gli studenti di Fisica finiscano sempre per somigliare a dei cantanti metal: capelli lunghi, barba incolta, vestiti trasandati. Inutile dire che sia le ragazze che i ragazzi vivono in mondi totalmente astratti dalla realtà: avere a che fare con personalità cosi psicolabili interessanti può essere un’esperienza grandiosa e al tempo stesso terribile.

Poi un bel giorno decidono di evolversi: tagliano i capelli e diventano persone serie mettendo su famiglia (in Inghilterra).

Non sarete Majorana: non scomparirete nel nulla lasciando nel mondo la vostra indelebile fama, anzi. Dovrete spiegare a vostro figlio perchè avete scelto di studiare fisica quando potevate fare la rock star. Auguri!

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  • Economia e commercio

Il prossimo sguattero incazzato con il mondo che proferirà la temibile frase “ah! il mondo è degli economisti” avrà in premio un armadio foppapedretti completamente montato con ante fissate e chiodi di ricambio. Sulla testa. E’ già insopportabile vedere questo ammasso di gente tiratissima tra i banchi che si atteggia a grande manager del prossimo futuro, dobbiamo anche sopportare i vaneggiamenti del complottista medio? Scusate la citazione di Scalfaro ma no, “io non ci sto”.
Non sarete Briatore: non sposerete una calabrese in cerca di popolarità (nel frattempo saranno tutte già emigrate a Londra) e non chiamerete vostro figlio con il nome di un animale protetto dalla forestale. Avrete il tempo solo di chiamare improbabili clienti dalla vostra postazione nel call center a Milano. Rassegnatevi e smettetela di sventolarci sotto il naso quelle orribili vuitton: vi serviranno come caparra quando dovrete lasciare il superattico per vivere in un gabbiotto in tangenziale.

  • Psicologia

Una volta avevo un amico (ho detto “una volta”) che mi fece notare quanto, nella stragrande maggioranza dei casi, chi scelga di studiare psicologia abbia dei problemi personali da risolvere. Io non la penso cosi. Semplicemente adorano sentirsi utili alla collettività dispensando consigli a pagamento e disprezzando gli psichiatri. E’ difficile trovare una specializzazione che abbia un senso in questa facoltà: sono tantissime le casistiche in cui uno psicologo professionale e ben formato può essere d’aiuto ma, diciamolo, alcune anche no.
I peggiori sono sicuramente quelli che attuano il “salto della quaglia” da una facoltà di base ad un’altra per inseguire il sogno di una figura professionale che in Italia non esiste, tipo il “criminologo”. L’unica volta che ho letto questa parola era in televisione, scritta sotto il faccione truccato e infardato di una milfona con le ciglia finte. Non era un porno.
Smettetela di vedere “the mentalist” o robe del genere: in Italia scarseggiano i magistrati, figuriamoci se abbiamo il tempo di inventarci nuove figure professionali. In alternativa il telefono azzurro cerca dipendenti. In bocca al lupo.

  • Scienze politiche

Chi disse, tempo fa, che si dovrebbe togliere il valore legale alla laurea sicuramente stava pensando a questa facoltà. Avete presente Bossi e figlio? il duo biologico che da solo basta a mettere in discussione le leggi di Darwin sulla presunta evoluzione umana con alla base le scimmie? Ebbene, davvero pensate che serva una laurea “specialistica” per entrare in politica? Se nel corso gli esami principali sono “antologia della presa per il culo” e “tautologie del nuovo millenio” allora si. Banale dire che si dividono in due categorie: quelli di destra e quelli di sinistra, ovvero: quelli che si specializzeranno nel raccattare elettorato ricco in qualche lounge bar di prestigio e quelli che faranno comizi nei centri sociali. In ogni caso: tra convincere e vincere c’è di mezzo un “con”. Attenti a scegliere le vostre alleanze.
Non sarete mai un importante politico italiano: mi spiace dirlo ma sono ancora i medici e gli avvocati i vincenti ed i rappresentanti in questo paese. Sarebbe bello se uno studente con la passione politica e degli obiettivi reali e concreti si facesse strada in questo lerciume, ma la realtà è questa e la cannabis è illegale.

  • lingue

ah, le lingue! Quanta speranza e ambizione spruzzate ad occhio su questo percorso di studi sfaccettato e intrigante! C’è chi lo dipinge come “la panacea di tutti i mali” e chi lo indica come il porto sicuro di chi davvero non sa che cazzo fare della sua vita. Personalmente credo che sia un po’ inutile studiare tremila lingue quando non si conosce bene nemmeno la prima lingua che il mondo usa per comunicare. No, non mi riferisco ai messaggi sul sesso esplicito ma all’inglese. Qual’è il senso di studiare il russo quando in un qualunque congresso estero si parla in inglese e le decisioni vengono prese in inglese? Per abbordare l’ucraina tettona alla stazione del bus, direte voi. E io non posso che darvi ragione.
Non sarete traduttori di fama mondiale in giro per il mondo. O meglio: è improbabile che lo diventiate. Ci vogliono impegno, soldi per le scuole di interpretariato che costano come donare un rene ogni due settimane, impegno, soldi, soldi, soldi e sostanzialmente soldi. Se ce li avete buon per voi! (scrivetemi in privato, ore pasti. Grazie)

  • Medicina veterinaria

Quando ero una fanciullina curiosa del mondo circostante e con un ancora bassissimo livello di rancore dentro il mio giovane cuoricino anche io, ahimè, sognai per un breve periodo di tempo di diventare una veterinaria. Si. Una di quelle con il camice e le siringhette colorate che esamina le orecchie pelucheose di conigli e gattini. Evidentemente a mia mamma non piaceva l’idea, cosi decise di smorzare il mio entusiasmo dicendomi che un veterinario non si limita certo a curare gattini e pucciosi animali d’affezione, bensì dona sollievo a tutto il regno animale ed in particolare alle mucche e tori che possono soffrire di una improvvisa e dolorosa stitichezza e che, perciò, necessitano di una approfondita ispezione rettale fatta con energica passione infilando le braccia fino al gomito ed oltre ed espellendo, cosi, la tonnellata di cacca che un animale di quella mole può essere in grado di accumulare nelle settimane. Ricordo di aver abbandonato immediatamente il sogno di curare gli animali per prediligere quello di curare le persone. Poi mi resi conto che sempre di letame si tratta e forse, col senno di poi, meglio quello autentico che camuffato quotidianamente.
Non sarete mai “Barbie veterinaria” e “ken assistente veterinario”: puzzerete tutto il giorno, infilerete le dita in posti che mi rifiuto di scrivere su questo blog e credetemi, sarà ardua mantenere la messa in piega e il rossetto mat della Maybelline fresco e idratante fino a sera. In compenso vedrete placente di cavalla e vomito di cane intossicato dal bastardo di turno. Yeeeeah!

Forever Tits

Ho sempre pensato che le donne non fossero uguali agli uomini, e chi crede di passare per profeta illuminato asserendo a questa legge ultraterrena della buona politica per tutti probabilmente non ha capito che alla fine dei giochi si parla di due sottospecie diverse: quelli che hanno il pene e quelli che non ce l’hanno.

La prima volta che mio padre mi regalò un regalo vero (cioè qualcosa che non servisse a soddisfare il suo ego personale ma che doveva soltanto rendermi felice) era una mountain bike. Una bellissima, verdissima, fosforescentissima mountain bike.

Sinceramente non ricordo se fosse da maschietti o da femminucce, ricordo però nitidamente il broncio di mia mamma quando si rese conto che probabilmente avrei passato l’estate in pantaloni lunghi  per coprire i punti sulle ginocchia.

Quindi ho buone ragioni per credere che comunque fosse un modello per maschietti.

Il punto è: se ti piace andare in bici e le bici in questione sono le mountain bike e i percorsi in questione sono semplicemente pieni di buche difficilmente ti interesserà andarci con Barbie magia delle Feste stampata sul telaio in rosa shocking.

E continuo a chiedermi perchè ci sono cose che, per essere spendibili anche in campo femminile, devono necessariamente spruzzare cattivo gusto annacquando tutto di un bel rosa acceso con annesse stelline facendo perdere credibilità a chi vorrebbe solo pedalare in santa pace senza essere indicata in un campo di mucche a Km di distanza. 

Spesso ho sentito fior fiori di femministe lamentarsi della loro non-vita apparente in quanto “esseri femminili” perchè non possono (seriamente) partecipare a questo o a quello, perchè difficilmente vengono prese sul serio, perchè portare i capelli lunghi fino al culo non piace a tutte e che, comunque, sono bellissime anche rapate a zero.

Mi sento coinvolta in questa lotta alla parità sessuale tra peni e non-peni, e siccome ho il maledetto vizio di rendermi utile stilerò un breve elenco di cose che non aiutano la credibilità delle donne. 

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E dunque:

  • i peluches come regalo ben accetto (non vi crede nessuno e il periodo della “fatina dei denti” è passato)
  • i fiori come regalo ben accetto (soltanto io ogni volta che mi è capitato di ricevere un mazzo di fiori pensavo, deprimendomi, al momento del loro inevitabile appassimento?)
  • le T-shirt con le stampe di animali  (non credo esista gente a cui non piacciano gli animali e andare in giro con una maglia del genere è come urlare al mondo “mi piace la maionese”).
  • i braccialetti di caramelle Smarties (ok, non so cosa siano veramente e cosa dovrebbero rappresentare ma sembrano creati da un dentista sadico per ricordarti che certe cose è meglio indossarle che metterle in bocca. Se state leggendo questa frase ridacchiando siete Sasha Grey.)
  • i fotoromanzi (non voglio arrabbiarmi con nessuno e rispetto i credi e le opinioni altrui, dico solo che chi li ha inventati dovrebbe essere deportato in campi di concentramento)
  • Minnie, Hello Kitty e Paris Hilton (hanno piu’ cose in comune questi tre personaggi che Stalin, Hitler e Mussolini).
  • Il neomelodico (piagnucolare in giro il vostro dolore non vi renderà piu’ addolorate)
  • le “shopping night” (lo shopping va bene sempre, non bastavano gli “aperi-cena” e le famose “uscite con le amiche“?)
  • l’abbigliamento fluo (santo cielo)
  • lo smalto fluo (cristo santo)
  • negare l’assioma “donna al volante pericolo costante” (smettetela. Avevo un’amica che alla guida di una qualunque macchina non faceva che rimirarsi le tette. Davvero. Ogni occasione è buona per dare un’occhiata al mascara o alla simmetria delle unghie. Lo so io e lo sapete voi).
  • Dare nomi da you.porn ad intimo di “nuova generazione” (davvero credete di essere professionali e convincenti chiamando un reggiseno “Forever Tits“?)
  • Lamentarsi del sesso orale (ahahah).
  • Lamentarsi delle modelle senza cellulite (va bene, Calzedonia la fa semplice vestendo con costumi di merda strafighe fotoniche ma si chiama marketing).
  • Lamentarsi della cellulite (comunque è democratica: viene a tutte)
  • Lamentarsi di chi si lamenta della cellulite (qui si deve essere veramente affette da complessi borderline. Non deludetemi).
  • Le false ubriacature (se non svenite/vomitate/intasate il prossimo cesso pubblico e ricordate il nome del tipo che vi piace e che disperatamente state cercando di abbordare non siete sbronze. Non lo siete. Siete la vergogna dell’umanità però, questo si.)
  • Le extenshion (ci sono le parrucche, sono piu’ complete e colorate e fanno molto anni ’80).

Qualunque discorso su un ipotetico movimento femminista dopo l’avvento degli anni duemila e di Pamela Anderson e Snooki può considerarsi definitivamente concluso.         

 

 

Benvenuti nell’era del “Bianconesimo”

Ci sono un mucchio di motivi per cui Francesco Bianconi merita la mia adorazione:

francesco-bianconi

  • E’ in grado di portare i capelli  stirati e unticci senza sembrare necessariamente un tossico
  • Mi fa venire voglia di tirare fuori dall’armadio i miei peggio vestiti vintage per atteggiarmi ad indie
  • Malgrado tutto, sotto massiccia dose di alcolici a base di rum, è in grado di non stonare.

Ignoro se la massa abbia le mie stesse motivazioni per trovarlo un grande cantautore ed un sentito e sensibile interprete, ma immagino che non debba essere facile gestire tutto il successo che improvvisamente ti travolge sei sei di provincia, toscano e asociale.

Insomma, come diceva intimidito Jhonny Depp “è difficile gestire un successo che in realtà non volevi”. Certo.

Ultimamente il processo di Bianconizzazione sta raggiungendo davvero l’apice, scavalcando di gran lunga addirittura il Gagarismo, anche se potrò sentirmi davvero soddisfatta quando le ragazzine la smetteranno di emulare quella seccia di Belen con i suoi orrendi capelli arancioni simil “scusa se mi sono finite le doppie punte nella tua pinta”.

La domanda è: è a questo che l’evoluzione sociale ci sta portando? alla finzione dell’intellettualismo? alla credenza di poter sbeffeggiare una presunta stratosferica cultura usando sempre la stessa camicia scolorita e lo stesso paio di pantaloni lerci? Una delle pecche di chi crede di avere dello stile innato è sicuramente la ripetitività nauseante.

Potrei anche tollerare una camicia al giorno per sette giorni purchè una settimana contenga otto dì, invece siamo ancora in questo universo dove Barbara D’urso decide di “volare all’estero” invertendo la rotta dei cervelli in fuga, quindi credo proprio che dovrò adattarmi e alla peggio pazientare.

A meno che non si sia aperto un nuovo discopub ispirato agli anni ’70 che distribuisce MDMA gratis evidentemente qualcosa

Il baffo è anni settanta.
Il baffo è anni settanta.

sta cambiando. E il verbo “cambiare” di solito non indica necessariamente un miglioramento. Una cosa che il sound maturo dei Baustelle ha portato è l’incredibile ondata di ex hipster (che sono a suon di ironia anche peggio degli hipster fatti e finiti) che si proclama fan di Bianconi & Co.

Avete notato anche voi che Bianconi & Co. potrebbe essere il nome di una multinazionale? Brutti complottisti che non siete altro.

Ondata infoiata dedita all’imitazione completa e totale. Ancora, comunque, non ho capito a cosa serva fotografare posa ceneri e scarpe in bianco e nero collegandoli al gruppo in questione ma sono fiduciosa e conto di arrivarci almeno per metà settembre.

Comunque sia ho prenotato il parrucchiere per un bel taglio carrè con frangia venerdi’ e sabato mi aspetta l’armadio di mia nonna con dei pezzi intramontabili da provare.

Au revoire.

Il mio week end è stato piu’ insofferente del vostro.

 Uno dei ricordi piu’ nitidi che conservo ancora dei miei 16 anni è l’attivismo politicamente scorretto che mia nonna aveva nei confronti della promozione del parto naturale.

Attivismo in cui cercava di coinvolgermi dicendo che non c’è nulla di piu’ bello e naturale di un parto e che, alla fine, come ogni cosa della vita, basta spingere. Prospettiva rosea e ottimistica che svanì con la sua frase “ah aspetta, ma tu soffri durante il ciclo, si? E no, allora soffrirai durante il parto come un cane. Mi spiace.

Credo sia stato in quel momento che abbia realizzato quanto il dolore e la sofferenza trovino sempre il modo di entrare in modo del tutto inaspettato nel nostro quotidiano.

Anche quando ne avevamo un lieve sentore.

Anche quando, forse, eravamo pronti a riceverle.

L’esempio di questa tragicomica verità è stato il mio ultimo (e corrente) fine settimana. E non mi riferisco solo al fatto di essere lasciata sola durante il ciclo con mia sorella, non mi riferisco al dover pagare due rate insieme di condominio tanto meno al film struggente misto tra horror e tragedia che ho visto, no.

Mi riferisco a queste cose tutte insieme.

Il tempismo di chi sta con te nel lasciarti “solo per due giorni” nei momenti meno opportuni è quasi come l’ultimo film di Polansky: sconvolgente. Comunque sia, ho passato gli ultimi due giorni in compagnia di mia sorella che, giocando con la cagna e facendo finta di studiare non mi ha propriamente risollevato la voglia di vivere. Quella di vedere horror invece, essendo lei una cinefila, si. 

Allora ci siamo buttate anima e corpo e birra in uno degli ultimi film prodotto da Guillermo del Toro, La madre.

La madre (Mama) è un film horror del 2013 diretto da Andres Muschietti e prodotto da Guillermo del Toro, che ha per protagonista Jessica Chastain.

La pellicola è il lungometraggio di Mamàcortometraggio in lingua spagnola del 2008 scritto e diretto da Andres Muschietti, presentato ufficialmente dallo stesso del Toro in un apposito video a poche settimane dall’uscita italiana del film.

Il film da principio promette bene: una storia intrisa di mistero e giallo dove due bambine vengono salvate da un’anima in pena che le cresce per 5 lunghi e tenebrosi anni, immersi in una foresta innevata e deserta. 

Il problema si presenta quando le pargole vengono ritrovate dalla polizia: non solo hanno la civiltà e la capacità d’espressione di Calderoli ma è evidente che l’entità materna non sarà felicissima di condividerle con la famigliola underground che vorrebbe rieducarle e reinserirle nella società. 

Le scene clou da urlo non mancano, interessante la grafica (sembra a tratti di vedere un film di Burton) leggera, toni non troppo pesanti e presenze da volti piu’ umani non tolgono nulla alla suspance e non banalizzano il senso stesso del film. 

Quello che piu’ mi è piaciuto, non so, chiamatela sensibilità da ormonauta, è stata la morale: alla fine, nel destino che crediamo essere già stato segnato con tutte le obbligazioni e le conseguenze di scelte precedenti, c’è sempre la possibilità di scegliere e di essere consapevole dell’esistenza di un sacrosanto libero arbitrio. 

E in questi due giorni di alti e bassi, di assenze, di domande e di risposte avevo bisogno di vedere come sia possibile uscire da situazioni solo in apparenza irreparabili, come sia facile e spontaneo reagire e schierarsi nonostante fantasmi e sensi di colpa ancora nitidi.

Io per esempio, conoscendo mia sorella, non avrei avuto dubbi sul fatto che avesse scelto di stare con l’ectoplasma.

 

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“L’amore di una madre è per sempre” cit.

Haters gonna hate

Quando a diciassette anni, per colpa di un uragano improvviso e violento, rischiai la vita causandomi un trauma cranico per essermi schiantata contro una finestra, ebbi da ridire anche sul mio ipotetico salvatore: puzzava.

Ed aveva approfittato della situazione per palpeggiarmi i fianchi e le cosce (è risaputo che agli irlandesi piacciano i fianchi e le cosce delle donne).

Comunque sia, senza andare troppo a ritroso, l’odio che mi contraddistingue spesso raggiungendo irragionevoli picchi per l’universo intero trova sempre il modo di esprimersi. Come i geni. Dei geni egoisti, cattivi e manipolatori.

All’inizio pensavo fosse solo relativo a determinati periodi, inutile dire, ormonali. Magari la fame improvvisa, un progetto andato male, Rita Dalla Chiesa alle tre del pomeriggio senza insulti da censurare, non saprei: la rabbia mi coglie alla sprovvista ed ecco il veleno sputato che condisce commenti al vetriolo.

Mi ci sono volute intense sedute di auto-psicoanalisi e annullamento totale della mia proverbiale auto referenzialità per riuscire a capire, alla fine, da cosa derivi questo mio disagio: la maggior parte degli esseri umani mi sta sul culo. E la cosa peggiore è che finiscono per salirmi sul culo anche chi proprio mi andava bene, in una sorta di destino irrecuperabile e squallido.

Piu’ rapidamente della nutella e della maionese sui Findus.

L’esempio a me piu’ vicino indice di quanto io sia volubile e lunatica è stata la discussione con una blogger (di successo) che, prima che mi scrafagnasse continuamente i coglioni con questa storia di quanto sia super-fico e cool essere single, mi piaceva.

Mi piaceva per tante cose: per lo stile descrittivo che adotta, per il modo di ironizzare senza risultare superficiale, per la trattazione che sfocia nell’emotivo e sentimentale senza essere stucchevole.

Si, insomma: mi piaceva. Mi faceva ridere. Mi faceva pensare.

Poi, improvvisamente, di fronte l’ennesimo pezzo su questa farsa dell’accoppiato triste e frustrato mi sono rotta i coglioni. Non ce l’ho fatta piu’. E’ una vita che io soffro come una cagna legandomi a persone con seri problemi mentali subendone gli altalenanti umori, immolandomi nel nome di un amore che non c’era (dall’altra parte, almeno), credendo che litigare tutti i giorni e ferirsi fosse la norma e arrivando a sperare che forse, l’unica via di salvezza, fosse cambiar cappella singletudine.

Poi, da brava Bridget Jones, io Mike Darcy l’ho trovato. E dopo un primissimo periodo di fisiologico scombussolamento con relativa perdita di capacità creativa (perchè il vero artista deve soffrire per poter creare, deve stare male, sputare il sangue sulla tela, la tastiera, le corde qualunque sia lo strumento che usa per sparare in faccia ciò che pensa della vita) detto ciò si, avevo perso un po’ della mia verve e mi sentivo Biancaneve senza la mela: una psicopatica che parla ai cervi.

Alla fine, con del sano training autogeno, ho ripreso in mano le redini del mio squallore e nonostante la sentimentale felicità e serenità sono riuscita a ritrovare il sarcasmo e l’ironia di cui ho sempre fatto largo uso, trovando il modo di continuare ad insultare ed umiliare almeno il 60% del pianeta.

Fatta questa premessa si, sono una hater: riverso rancore intriso in commenti inutili e acidi un po’ ovunque e nonostante i fallimenti quotidiani e non, continuo a credermi “sto cazzo” perchè non ho paura di smadonnare, di fare le cose da sola, di starmene senza fare una ciola tutto il giorno solo perchè voglio passarlo a scrivere e vedere film che pochi comprendono.

Nonostante la felicità privata, da brava hater, continuo a seminare odio e a dire la mia.

E cosi sono riuscita a litigare anche su altrui blog, perchè nonostante tutto c’è una cosa in particolare che mi sta sul culo: il qualunquismo.

Perchè è facile voler essere famosi e celebri dicendo ciò che la massa di single e sfigati in amore vuole sentirsi dire: che sono strafighi, dei super eroi e che non è assolutamente colpa loro se anche Darth Fener non li vuole manco pe niente.

Sappiate che se siete delle merde è solo colpa vostra: avere un caratteraccio è come essere intelligenti. Sono “qualità” scomode e bisogna saperci convivere.

Tuttavia non abbandonate le speranze: qualunque hater può trovare il proprio hater entrando in questo alone di felicità senza perdere il savoir faire di Crudelia De Mon.Immagine

Il mio amico “scolapasta”

Tra le varie ed eventuali cose che mi sono state dette tanto per etichettarmi in qualche concepibile modo, cercando di descrivere la mia abominevole e terrorifica figura, c’è stato l’aggettivo esilarante “troppo selettiva“.

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Che poi, traducendolo in lingua pagana dovrebbe essere letto come “te la tiri“, “elitaria“, “con la puzza sotto il naso“, “snob” e dulcis in fundo “arida“.

Adesso, nel corso della mia vana esistenza, sono stata chiamata in molti modi orrendi: acida, stronza, opportunista, alcolista (sebbene sia una verità di fatto ben diversa da un’opinione), cinica, Carmen etc. etc. ma ci tengo a precisare che spesso, la gente comune, ritiene che fare amicizia anche con il divano di casa propria e descrivere tutto con “maccheccarino“! e “wow” sia da persone equilibrate e sane.

Indi per cui io, che ho dei criteri selettivi ben precisi sui quali mi baso per far si che altri individui attraversino quella linea gialla che contorna le mie periferie organiche sperando di sfiorare me medesima, sarei la disadattata sociale.

L’altra sera mi è successo di avere una discussione proprio su questo.

D’altra parte è inutile insistere su quanto io debba aprirmi ed evitare muri e barriere emotive verso chi “non conosco ancora” basandomi su pensieri e sentori avuti appena vista e/o minimamente ascoltata l’altra persona, purtroppo è piu’ forte di me.

La cosa grave è che se incontrassi un’altra come me so che anche io le darei probabilmente della snob, ma mi è proprio impossibile varcare la soglia dell’umanità spicciola: questa cosa fa parte del mio essere e mi rende ciò che sono, come la cocaina e la fantagrammatica caratterizzano Lapo Elkann.

Un marchio di garanzia.

Fatte queste premesse, ci sono delle categorie che dovranno fare un po’ piu’ fatica di tutti gli altri bipedi ambulanti sulla terra, e dunque sono:

  • Gli sportivoni.

A me lo sport non piace. Lo trovo inutile, tedioso, sfiancante e subdolamente competitivo. Quando ero una bambina con il sogno di trovare la cura per la fibrosi cistica e di vincere il premio Pulitzer, quei due psicolabili dei miei genitori pensavano che io dovessi fare necessariamente sport: sono passata dalla pallavolo (conati di vomito) al basket, tennis, attraversando poi la piscina comunale, il percorso a ostacoli ginnico e persino palla tamburello. Si, tamburello.

I risultati? mi annoiavo e anche se dopo un po’ per pura inerzia diventavo decentemente brava comunque mi annoiavo perchè volevo provare qualcosa di nuovo.

Alla fine tornavo a casa lievemente tonica ed esuberante come Piero Pelù dopo una puntata di Voice.  Hanno inventato i Kellog’s, la droga,Diva e donna e le creme snellenti/tonificanti. Quindi lungi da me stringere amicizie improbabili con chi dedica la sua vita a spruzzare acido lattico da tutti i pori. 

  • I cinofili estremisti

Mi fanno paura. Sinceramente, quanto può essere sano un rapporto morboso con il proprio cane? Non capisco quelle persone che a un aperitivo continuano a parlare a ruota del proprio quadrupede manco fosse il figlio appena sgravato di un mese e tre giorni

“ah guarda sto bene, solo che Frizzy ieri ha avuto una colica e mi ha fatto stare in pensiero. Sono stata tutta la notte in piedi a cambiarle il pannolino”.

Orrore. 

Sono cinefila, non cinofila. Grazie.

 

  • i citazionisti

Sono i miei preferiti. E’ facile riconoscerli: intasano la bacheca degli ignari amici di citazioni abbastanza banali per poi scrivere un loro autentico pensiero due volte all’anno (spesso in linea con gli argomenti della D’Urso su canale 5 il pomeriggio precedente).

Non si sbilanciano mai su nulla: usano i colori pastello, portano spesso i capelli legati, non si truccano mai in maniera “distintiva” nè cercano di attirare l’attenzione in alcun modo ispirandosi alla tappezzeria del locale/stanza in cui si trovano: in caso contrario c’è il rischio altissimo che possano mostrare di avere della personalità.

 

  • Quelli che non hanno dei generi musicali d’appartenenza.

Qui è d’obbligo un distinguo: a meno che tu non abbia sviluppato nel corso degli anni il tuo gusto/stile personale e poi abbia conosciuto il principe azzurro a cavallo di una Harley con tanto di tatuaggio degli Iron Maiden (se condividi il genere) per poi sposartelo all’istante, dovresti entrare in psicoanalisi.

Seriamente.

La musica è una delle piu’ alte espressioni umane; non c’è niente che sia in grado di rappresentare ciò che siamo piu’ della musica. Chi non ha mai avuto edificanti conversazioni del tipo “abbassa il volume! questa non è musica!/fatti i cazzi tuoi, non capisci un cazzo!” con i propri genitori non può capire.

Ascoltare musica indipendentemente le prime volte sancisce un vero e proprio patto con te stesso, l’io profondo che impari lentamente a conoscere. Tu sei tu, ti piace questo genere perchè ti senti cosi, te ne senti rappresentato e, anche se un giorno dopo i Metallica e i Sex Pistols ascolterai Battisti il periodo di ribellione causata dal distacco fisiologico del cordone ombelicale ti apparterrà per sempre. 

Non si può non avere la propria identità musicale plasmandola su gusti e crescite altrui, rispondendo odiosamente a chi chiede “cosa ascolti?” la temibile frase “un po’ di tutto“.

 

Queste categorie, se messe insieme in una specie di potentissima reazione ad altissimo rilascio di energia libera, crea la categoria degli “scolapasta“: termine coniato da una mia collega per indicare chi ha la stessa personalità e savoir faire dello strumento culinario sopracitato.

E io, con gli scolapasta, a parte gli spaghetti non ho nulla da spartire.Immagine